L’esperto: spesso scambiate per patologie psichiatriche

Colpiscono il sistema nervoso centrale e periferico e possono provocare disabilità anche gravi. Non è semplice diagnosticarle e possono essere confuse con depressione, sofferenza psichica, sindrome da somatizzazione o ipocondria. Le malattie neurologiche disimmuni sono un gruppo di patologie rare che possono colpire sia il sistema nervoso centrale che il sistema nervoso periferico. Spesso queste malattie influiscono sulla capacità di camminare o di afferrare gli oggetti e provocano perdita di sensibilità, formicolio o dolore a mani e piedi, oppure dare crisi epilettiche e demenza. In merito alle terapie molto è stato fatto negli ultimi anni, ma sul fronte delle cure innovative sperimentali c’è ancora molto da fare. A parlarne è stato il professor Bruno Giometto, dell’Università degli Studi di Trento (UNITN) e direttore Neurologia presso l’ospedale Santa Chiara di Trento, intervenuto oggi al 62esimo Congresso Nazionale della SNO – Scienze Neurologiche Ospedaliere, in corso a Firenze. Titolo della sessione: ‘Le malattie disimmuni: le patologie emergenti’.

“Tra le malattie neurologiche disimmuni la più nota e diffusa è la sclerosi multipla, per cui non sono stati ancora identificati marcatori accurati e facilmente misurabili – ha detto Giometto – In generale, però, le malattie disimmuni (o autoimmuni) hanno anticorpi che si possono ricercare nel sangue e che permettono una diagnosi corretta della malattia. Negli ultimi 10 anni, in particolare, c’è stato un importante avanzamento: se un tempo le encefalopatie disimmuni venivano scambiate per encefaliti, oggi invece si è visto che molte di queste patologie sono autoimmuni e non infettive, grazie agli anticorpi che ci danno informazioni. Se le trattiamo in modo corretto, quindi, il paziente guarisce e questo è un aspetto non trascurabile”.

Tali patologie, nonostante i progressi, restano non facili da diagnosticare e richiedono “molta esperienza da parte del clinico”; ma dalla loro parte hanno oggi a disposizione test di laboratorio innovativi, con “marcatori sierologici specifici, che rivestono un ruolo sempre più importante”. Quanto alle terapie, secondo Giometto, sono stati fatti grandi passi in avanti: “Esistono terapie cortisoniche di primo livello efficaci (come anche immunoglobuline o plasmaferesi) ma anche terapie di secondo livello. Queste ultime sono importanti quando abbiamo una diagnosi certa di malattia, perché si iniettano anticorpi monoclonali che bloccano i linfociti che producono gli anticorpi”.

Secondo analisi recenti, intanto, le terapie per le encefaliti disimmuni “funzionano” per quasi 9 pazienti su 10, ma è altrettanto importante sottolineare che i pazienti ad oggi ancora non rispondono alle nuove terapie sperimentali. “Ci stiamo ancora lavorando”, ha sottolineato a tal proposito l’esperto. Ma a che età possono manifestarsi le encefaliti disimmuni e quali sono i primi segnali? “Queste patologie colpiscono tutte le fasce d’età, a partire da quella pediatrica – ha chiarito Giometto – nei bambini e nei giovani riscontriamo prevalentemente quelle malattie che sembrano psichiatriche ma sono invece autoimmuni, mentre negli adulti e negli anziani quelle che si presentano con crisi epilettiche e demenza”.

Ad intervenire, durante la sessione, anche la dottoressa Silvia Casagrande, dirigente medico presso l’Unità operativa di Neurologia dell’ospedale di Trento e Rovereto: “Alcune forme di malattie autoimmuni neurologiche possono inoltre essere spia di una forma tumorale spesso non ancora rilevata. Queste patologie, denominate sindromi neurologiche paraneoplastiche – ha spiegato -spesso hanno una peggior risposta alla terapia rispetto alle altre malattie autoimmuni e la loro gestione richiede un approccio multidisciplinare. Un loro corretto inquadramento può, tuttavia, condurre ad una diagnosi precoce di una malattia oncologica – ha concluso Casagrande – con conseguente miglioramento della prognosi del tumore”.

Fonte: askanews.it

Gli esperti: ecco i cibi “amici delle MICI”

Sì all’olio extravergine d’oliva, alle fibre solubili di frutta e verdura cotte e senza buccia, al pesce e alle carni magre; da evitare i cibi industriali, i fritti e i grassi, i legumi e alcuni conservanti: per prendersi cura della flora batterica intestinale e migliorare sintomi e qualità di vita, chi soffre di malattie infiammatorie croniche intestinali dovrebbe seguire il decalogo messo a punto dagli esperti di AMICI Italia, l’associazione che si occupa dei pazienti e dei loro familiari. Utile il diario alimentare per scoprire i ‘cibi no’, mai eliminare alimenti senza prima essersi consultati con il medico: non rinunciare a una dieta varia, equilibrata e gustosa è importante per gestire al meglio la malattia

Insomma: meglio non ordinare una cotoletta fritta al ristorante, ma perché privarsi di un pesce al forno con le patate? Tanti piatti gourmet possono far parte dell’alimentazione quotidiana di chi soffre di colite ulcerosa o malattia di Crohn, perché avere una malattia infiammatoria cronica intestinale (o MICI) non significa dover rinunciare al gusto a tavola, anzi: la dieta amica dell’intestino può e deve essere varia, bilanciata e buona. Lo hanno sottolineato gli esperti dell’Associazione AMICI Italia in occasione della Terrasini Event Night 2023, evento di beneficienza che unisce scienza e cucina, organizzato dallo chef Giuseppe Costa (ristorante 1 stella Michelin ‘Il Bavaglino’ di Terrasini), insieme ad altri 10 chef che hanno ottenuto la ‘stella verde’ della sostenibilità. L’obiettivo è raccogliere fondi a sostegno dell’Associazione e per dimostrare che perfino la cucina ‘stellata’ può essere adatta alle esigenze nutrizionali dei pazienti con MICI. Dalla frutta e verdura ricca di fibre solubili, meglio se cotta e senza buccia, al pesce e carni magre condite con olio d’oliva a crudo, sono tanti i cibi amici del microbiota, l’insieme dei batteri che popolano l’intestino e la cui salute è fondamentale per i pazienti con MICI: senza sottoporsi a restrizioni alimentari inutili, anche i pazienti possono e devono riscoprire il piacere della tavola.

“L’alimentazione ha un ruolo cruciale nella gestione delle MICI”, spiega Salvo Leone, Direttore Generale di AMICI Italia, “nella colite ulcerosa e malattia di Crohn l’infiammazione cronica dell’intestino comporta sintomi come dolore addominale, diarrea, perdita di peso, fatica: si tratta di malattie trattabili con una combinazione di terapie mediche, cambiamenti nello stile di vita e strategie alimentari adeguate, perciò una valutazione corretta dello stato nutrizionale e un supporto per le corrette indicazioni alimentari sono imprescindibili. Per chi soffre di colite ulcerosa e malattia di Crohn adottare una dieta appropriata può fare la differenza tra il benessere e il disagio: le scelte alimentari possano influenzare direttamente i sintomi e la qualità della vita dei pazienti, che devono essere supportati e orientati per saper scegliere i cibi da preferire o evitare nelle diverse fasi di malattia, durante le riacutizzazioni e nei periodi di remissione. Inoltre l’educazione alimentare è fondamentale per garantire una migliore comprensione delle necessità nutrizionali specifiche dei pazienti con MICI: un piano alimentare ben progettato può spesso favorire il recupero e aiutare a prevenire le carenze nutrizionali purtroppo comuni nei pazienti”. Per aiutarli nelle scelte a tavola, gli esperti hanno raccolto in un decalogo le ‘regole base’ della dieta nelle fasi in cui le MICI non danno sintomi e gli accorgimenti da seguire in caso di riacutizzazioni. Si tratta di indicazioni generali, che devono essere personalizzate dal medico in base alle esigenze specifiche del singolo paziente. Per individuare i cibi ‘sì’ e quelli che invece favoriscono la comparsa dei sintomi, per esempio, gli esperti di AMICI Italia raccomandano a tutti di tenere un diario alimentare così da capire gli alimenti difficili da tollerare e quelli che invece danno benessere, perché possono essere molto diversi fra i vari pazienti e perché senza fare sufficiente attenzione è possibile finire per escludere cibi tutt’altro che pericolosi, costringendosi a seguire diete squilibrate, ripetitive, poco sane e gustose. “Rinunciare a intere categorie di alimenti e privarsi inutilmente di alcuni cibi può provocare carenze nutrizionali e perfino portare a galla veri e propri disturbi del comportamento alimentare”, specifica Maria Cappello, Responsabile dell’Ambulatorio dedicato alle IBD della UOC di Gastroenterologia ed Epatologia del Policlinico di Palermo, “le raccomandazioni dietetiche sono perciò essenziali per i pazienti con MICI, che in assenza di indicazioni chiare spesso adottano restrizioni senza alcun razionale clinico né basate su evidenze scientifiche, frutto del passaparola o di quanto viene letto sul web e sui social, esponendosi a molti rischi. Le indicazioni devono essere personalizzate e modulate in relazione alla fase di malattia, attiva o in remissione, complicata o no, senza dimenticare che l’alimentazione è anche convivialità, piacere della tavola. È importante che i pazienti non perdano questo aspetto del nutrirsi”.


Fonte: askanews.it

A Pavia evento sul diritto alla sessualità delle pazienti oncologiche

Il benessere sessuale è ancora oggi un argomento tabù in oncologia. Per pudore, i pazienti spesso non ne parlano, eppure l’impatto che un tumore e le terapie hanno sulla sfera intima può essere molto pesante, compromettendo la qualità di vita. Un problema sentito soprattutto dalle donne: oltre 6 su 10, dopo una neoplasia, vanno incontro a qualche forma di “disfunzione sessuale”. In più, mancano linee guida che indirizzino i clinici nella gestione della tossicità legata alle cure. Per affrontare il tema, a pochi giorni dal World Gynecologic Oncology Day, il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (Cnao), Fondazione Irccs Policlinico San Matteoe gli Istituti Clinici Scientifici Maugeri Irccs hanno organizzato il 25 settembre l’incontro “Cancro e benessere sessuale”. L’obiettivo è fornire a tutti i professionisti sanitari coinvolti nel percorso di diagnosi, cura e follow up e alle pazienti strumenti idonei a identificare e fronteggiare con successo le possibili problematiche sessuali indotte dai trattamenti oncologici.

“A seguito delle terapie oncologiche, la paziente si trova a relazionarsi con l’immagine di un corpo che visivamente cambia: cicatrici chirurgiche, variazioni di peso, perdita dei capelli, eritemi da radioterapia – spiega Amelia Barcellini, radioterapista oncologo del Cnao -. Esistono, però, anche altri effetti collaterali non visibili: menopausa precoce, infertilità, osteoporosi e ancora sindrome genito-urinaria,alterazione dell’elasticità vaginale, queste ultime condizionanti pesantemente la vita sessuale. Tutto questo si ripercuote inevitabilmente sulla psiche della paziente, sulla vita di coppia e di relazione, spesso alterandone gli equilibri. Pur essendoci strumenti che ci consentono di contrastare alcuni di questi sintomi,oggi la salute sessuale, soprattutto quella femminile, è ancora trascurata in ambito oncologico. Lo scopo del convegno è quello di offrire al personale sanitario gli strumenti idonei a riconoscere e gestire la tossicità sessuale e a superare l’imbarazzo di parlarne con le pazienti. Inoltre, nel pomeriggio sensibilizzeremo le pazienti e i partner sull’importanza di parlarne apertamente con il proprio medico o con il proprio psicologo”.

Dopo la sessione scientifica, associazioni di volontariato e pazienti si sono confrontati in alcune tavole rotonde sul diritto al benessere psico-fisico durante e dopo una diagnosi di cancro, condividendo esperienze e idee per una presa in carico globale della donna con tumore. E’ stato inoltre possibile accedere gratuitamente a sedute di riabilitazione del pavimento pelvico e a colloquipsico-oncologici.

“Occorre abbattere il muro del silenzio. La gestione del problema attraverso team interdisciplinari dedicatiè la chiave per trovare soluzioni personalizzate per lasingola paziente – osserva Chiara Cassani, ginecologo oncologo dell’Irccs Policlinico San Matteo -. Ad esempio, oggi è quasi sempre possibile preservare la fertilità prima dell’inizio dei trattamenti, somministrare farmaci che proteggano le ovaie dagli effetti negativi della chemioterapia, offrire percorsi di riabilitazione prima e dopo i trattamenti chirurgici e radianti, utilizzare terapie locali o sistemiche per contrastare i sintomi legati all’atrofia vaginale e alla menopausa e sostenere le pazienti con l’aiuto di psicologi specializzati e terapisti sessuali. Non tutto però è sempre facilmente accessibile o previsto dai Lea (Livelli Essenziali di Assistenza) ed è fondamentale che la ricerca scientifica lavori per cercare soluzioni sempre più efficaci”.

“Si parla ancora poco nei nostri ambulatori di tossicità sessuale e di quanto le cure oncologiche interferiscano con la vita di coppia delle nostrepazienti – aggiunge Laura Locati, Professore Associato di Oncologia Medica all’Università di Pavia, Direttrice dell’Oncologia Medica presso gli Istituti Clinici Scientifici Maugeri -. La sopravvivenza dei malati oncologici è migliorata nel corso degli anni, per il tumore alla mammella, ad esempio, abbiamo un 88% di sopravviventi a 5 anni in base ai dati Airtum2022 e, se a questo aggiungiamo che il 41% dei nuovi casi di tumore alla mammella si verifica in giovani donne con età inferiore ai 50 anni, è evidente la necessità di una presa in carico multidisciplinare e olistica che accompagni le pazienti durante le cure e al termine delle stesse. La tossicità sessuale legata alle terapie oncologiche può avere un impatto deflagrante nella coppia per cui è importante incominciare a censire il fenomeno, a prevenirlo e ad occuparsene attivamente fin dall’inizio del percorso di cura”

Spazio anche al tema della prevenzione e della salute sessuale in una chiave “arcobaleno”: “Dai dati di letteratura recente – evidenzia ancora Barcellini – sappiamo infatti che i pazient* della comunità Lgbtqia+ lamentano disagio durante le visite cliniche, non sentendosi adeguatamente accolt* dal personale sanitario; pertanto, non accedono spesso ai programmi di screening. Questo può comportare diagnosi tardive di tumore. Inoltre,sulla salute sessuale post terapie oncologiche nella comunità Lgbtqia+ c’è un silenzio ancora più assordante”.


Fonte: askanews.it

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